04 giugno, 2011

Letture

        "Ma è soprattutto l'autocoscienza, l'umana "coscienza di essere coscienti" (o se si vuole il "sapere di sapere") a rivelarsi, a una indagine attenta, qualcosa di precario, di approssimativo, di tutt'altro che garantito.
    Per cominciare, non è difficile accertare che anche nelle persone più istruite la consapevolezza (introspettiva ) dei propri stati d'animo può essere alquanto carente. Capita che gli intellettuali più raffinati non sappiano neppure rendersi conto se sono di cattivo umore, meno che mai se sono aggressivi. "
Giovanni Jervis, "Il mito dell'interiorità"

17 Comments:

Blogger Hari Seldon said...

Quando si dice avere in casa gli specchi di legno...

7:44 PM, giugno 04, 2011  
Blogger lophelia said...

...usatissimo alle scuole medie per la consapevolezza esteriore.

8:52 PM, giugno 04, 2011  
Anonymous arte said...

Càpita! Mi viene in mente un esempio eccelso, di un intellettuale neanche tanto raffinato ma che trattava per lavoro di temi molto "interiori", il quale non aveva la minima percezione nè del proprio stato d'animo, nè dello stato d'animo in cui metteva gli altri (e di conseguenza, nè del proprio corpo nè di quello degli altri).

(una parola è troppa e due sono poche, scusassero)

P.S. La verifica parola mi dice "colica"...

10:17 AM, giugno 05, 2011  
Anonymous Rob said...

Mi viene in mente un esempio complementare, una persona di cultura frammentaria, ma dotata di una autopercezione e di una lucidità istintive ed assolutamente esemplari.

In effetti, "cultura" è un termine che da noi mi sembra denoti prevalentemente la conoscenza dell'altro da sé.

11:46 AM, giugno 05, 2011  
Blogger lophelia said...

che dire Arte, Dio ci scampi da queste mine vaganti, induttori di còliche perdipiù :-D

Rob, il fatto poi è anche che è difficile conoscere l'altro-da-sé se prima non lo si conosce in sé.

1:41 PM, giugno 05, 2011  
Blogger CICCILLO said...

perché prendersela sempre con i poveri intellettuali?
perché dovrebbero essere diversi dagli altri?
è questo il "mito dell'interiorità"?

12:13 AM, giugno 06, 2011  
Blogger lophelia said...

aldezabal, ho slealmente decontestualizzato un brano, non sono solo i poveri intellettuali a non capirsi. E' che quando non capiscono si nota di più (avendo in teoria più strumenti a disposizione).

8:45 AM, giugno 06, 2011  
Anonymous Anonimo said...

Nicce (possa piacere o no; giacché essere d’accordo con lui è come pensare di essere d’accordo con un tantrica, ovvero una cosa del tutto priva di senso), ha indagato con indubbia efficacia quanto lo stato d’animo dei filosofi che lo precedettero influenzasse la loro filosofia, fino a trovarne in alcuni addirittura il fondamento (e lui non era certo il tipo che viveva nell’atarassia). Il duellare dell’esercizio razionale aveva spesso in questo aspetto la sua ragione, e quindi, come direbbe qualcun altro “la sua inattendibilità”.
L’intellettuale moderno, (forma assai distante dal filosofo in senso stretto, in quanto che, la questione metafisica non lo riguarda più) trova nella “non inattualità, e assai spesso nella contingenza il suo campo d’azione, si vede qui investito di una questione che temo lo riguardi di riflesso. Egli in genere lavora su ciò che appare, non su ciò che non appare (cosa che può essere ascritta alla tradizione metafisica , come ad esempio: “ il nascondimento dell’essere secondo la prospettiva del sapere di non sapere” o ancora di più alle tradizioni spirituali, le quali si pongono direttamente il problema della verità ).
Gramsci (uno che vedeva lontano) poneva l’intellettuale nell’area di quella zona liminale che è la superficie: luogo dove si incontrano (scontrano) i mondi.
L’autore qui: parla dell’interiorità come mito, rispetto alla consapevolezza introspettiva dell’umana autocoscienza? Forse si chiede se il sapere di sapere, che è per definizione non interiore, dovrebbe considerare, a prescindere da questo mito, gli stati d’animo determinanti? Essi non sono nozioni, notizie o espressioni di un sapere che sa di se stesso, ovvero della sua estensione. Quindi, per quali ragioni l’intellettuale dovrebbe porsi domande sullo stato d’animo in cui l’evidenza del suo sapere si afferma?
La domanda sorge spontanea : quali saranno stati gli stati d’animo dell’autore mentre scriveva il suo libro?

10:18 AM, giugno 07, 2011  
Blogger lophelia said...

da ciò che ho letto finora del libro, pare di capire che per l'autore "la consapevolezza introspettiva dell'umana autocoscienza" e "il mito dell'interiorità" siano la stessa cosa. Mito appunto, racconto, narrazione.

Ma non pretendo di riassumere in un post il senso di un libro assai complesso. Mi piaceva questo brano che mette l'accento su certi scollamenti che si osservano talvolta nelle persone, anche le più riflessive.

11:08 AM, giugno 07, 2011  
Blogger CICCILLO said...

"E' che quando non capiscono si nota di più (avendo in teoria più strumenti a disposizione)."

Io direi altresì che, essendo gli strumenti necessari per accedere all'interiorità sopratutto - a quanto pare - quelli economici, lo si nota di più in tutti coloro che pur disponendo di molto denaro non lo utilizzano per quello scopo e anzi procurano grandi sofferenze, interiori ed esteriori, alla gran parte dell'umanità: politici, banchieri, politici prestati alle banche, banchieri prestati alla politica, generali, generali prestati alla politica, politici in tuta mimetica, vescovi e cardinali, cardinali che fanno politica, politici che utilizzano la fede in malafede etc etc...

con questi, ai quali farebbe bene un po' di lettino, non se la prende nessuno, chissà come mai...

11:42 AM, giugno 07, 2011  
Blogger lophelia said...

aldezabal, a questo proposito:
http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2010/02/09/consacrare-profanare/

12:39 PM, giugno 07, 2011  
Anonymous Anonimo said...

Ma se "la consapevolezza introspettiva dell'umana autocoscienza, è qualcosa di precario, di approssimativo, tutt'altro che garantito" (curiosa definizione)ed il mito della profondità sono (sarebbero) la stessa cosa, è assai probabile che su ciò che essi raccontano la meditazione dell'autore presagisca ulteriori e sorprendenti considerazioni.
Mi fermo perchè aimè non ho il libro sottomano, tuttavia mi hai messo la curiosità.

2:20 PM, giugno 07, 2011  
Blogger lophelia said...

Jervis parlando di "mito" dell'interiorità (non dice profondità) allude a quanto il nostro sapere su noi stessi sia qualcosa che ci raccontiamo - a cominciare dalla memoria, spesso ricostruita e in parte inventata.
Ma per tutto il resto ti invito alla lettura, e ne richiede anche più d'una.

2:33 PM, giugno 07, 2011  
Blogger Fabio said...

Avrei voluto scrivere quello che ha scritto Aldezabal.

Anche se poi ho spesso sperimento anche su me stesso la confusione che regna sovrana dopo l'esperienza di complesse musiche e letture, che smuovendo zolle di coscienza le lascia a volte senza precisa collocazione, rendendo un po' sconnesso il procedere sulla strada della comprensione.

Che comunque non e' mai moto lineare uniforme, oppure non e' vera comprensione.

5:45 PM, giugno 07, 2011  
Blogger lophelia said...

beh vedo che questo brano ha toccato molti sul vivo.

10:45 AM, giugno 08, 2011  
Blogger CICCILLO said...

punto sul vivo?
ma magari fossi un intellettuale di mestiere, forse guadagnerei di più e non sarei entrato nel girone infernale delle cartelle di Equitalia!
però mi fa specie che, neanche tanto sottilmente e mica solo Jervis, si utilizzi l'intellettuale (inteso in senso genericissimo, poi ognuno pensa ai casi che ha in mente) come capro espiatorio.
è vero che viviamo nella società dello spettacolo politico-televisivo che ne ha bisogno come l'aria per vivere (per Veltroni è colpa di Bertinotti, per Bersani è colpa di Vendola, per Berlusconi è colpa di Santoro, per Bossi è colpa di Berlusconi etc etc...) e dove nessuno è in grado più di assumersi una responsabilità (nemmeno quelli che si sono autodefiniti i Responsabili!) però io quando sento certi discorsi sugli intellettuali ripenso sempre a prescindere a quel tizio che diceva che quando sentiva parlare di cultura gli veniva voglia di mettere la mano alla pistola.
poi naturalmente si dovrebbe capire chi sono sti benedetti intellettuali.
un buon esempio, a mio parere, lo si può trovare, pur non essendo magari d'accordo su tutto ciò che dice, qui:

http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/06/articolo/4803/

io per parte mia, ci tengo a sottolinearlo, appartengo a un altro mondo.
il mondo dove un balbuziente (tanto per tornare all'interiorità) può cantare e andare a tempo con tutti gli altri e poi dopo tornare a essere balbuziente.

12:44 PM, giugno 09, 2011  
Blogger lophelia said...

aldezabal, mea culpa per aver decontestualizzato, ma in questo caso la lettura sociale dell'intellettuale come capro espiatorio è del tutto fuori luogo, ti assicuro.

1:39 PM, giugno 09, 2011  

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