So che a Lei non gliene fregherà nulla...
"So che a lei non gliene fregherà nulla" dico al libraio porgendogli i dieci euro "ma l'autore è stato mio professore di lettere al liceo". "Davvero?" per un secondo circa il libraio riesce a simulare un genuino interesse. Poi passa a spiegarmi che il libro è appena uscito ed è in bella vista perché questa è la settimana dedicata alla casa editrice DeriveApprodi, mentre io vorrei spiegargli quanto quel professore in un solo anno scolastico ha segnato per sempre il nostro modo di pensare e di parlare, mettendoci in guardia dalle trappole dei luoghi comuni e facendo luce su tante altre cose che non avremmo mai trovato nei testi scolastici. Ma non dico nulla, ringrazio soltanto e prendo la tessera fedeltà per i bollini-sconto e poco dopo in treno inizio a leggere il libro, ritrovando nelle parole l'eco di quella voce di tanti anni fa.
"Altro". La parola, con l'iniziale in maiuscolo, ebbe un certo fascino negli anni Settanta, grazie agli scimmiottamenti nostrani di Lacan (...) Al giro di boa degli anni Novanta se ne registrò un'altra ondata: il protagonismo degli immigrati nelle prime lotte per il riconoscimento dei propri diritti trascinava con sé anche scorie letterarie e linguaggi snob. E ci fu un epoca di "incontri con l'altro", "rispetto dell'altro", e simili (...) Guai se l'altro si avvicina, se cambia abito, se, soprattutto, si concretizza e si declina perciò al plurale, o al singolare preceduto da un articolo indeterminativo: gli altri, un altro. Scattano allora, per lo più, riflessi assimilazionisti (come si permette di rimanere così altro?), stereotipi inconfessati (le nigeriane battono, le colombiane ingoiano ovuli di coca, gli albanesi meglio lasciar perdere), risentimenti (chi lo autorizza a rubarmi un simbolo e a sostituirlo con la nuda presenza?). L'altro in questo modo non è soggetto che agisce, ma è oggetto dello sguardo. L'incontro con l'altro non è occasione di conoscenza e di arricchimento, ma di nobilitazione (meglio, di esibizione di una nobiltà preesistente). Quando l'altro si sottrae come oggetto e si afferma come soggetto, smette di essere tale, e diventa l'albanese, la spacciatrice sudamericana, l'infido levantino."(Giuseppe Faso, "Lessico del razzismo democratico - Le parole che escludono", ed. DeriveApprodi)
"Altro". La parola, con l'iniziale in maiuscolo, ebbe un certo fascino negli anni Settanta, grazie agli scimmiottamenti nostrani di Lacan (...) Al giro di boa degli anni Novanta se ne registrò un'altra ondata: il protagonismo degli immigrati nelle prime lotte per il riconoscimento dei propri diritti trascinava con sé anche scorie letterarie e linguaggi snob. E ci fu un epoca di "incontri con l'altro", "rispetto dell'altro", e simili (...) Guai se l'altro si avvicina, se cambia abito, se, soprattutto, si concretizza e si declina perciò al plurale, o al singolare preceduto da un articolo indeterminativo: gli altri, un altro. Scattano allora, per lo più, riflessi assimilazionisti (come si permette di rimanere così altro?), stereotipi inconfessati (le nigeriane battono, le colombiane ingoiano ovuli di coca, gli albanesi meglio lasciar perdere), risentimenti (chi lo autorizza a rubarmi un simbolo e a sostituirlo con la nuda presenza?). L'altro in questo modo non è soggetto che agisce, ma è oggetto dello sguardo. L'incontro con l'altro non è occasione di conoscenza e di arricchimento, ma di nobilitazione (meglio, di esibizione di una nobiltà preesistente). Quando l'altro si sottrae come oggetto e si afferma come soggetto, smette di essere tale, e diventa l'albanese, la spacciatrice sudamericana, l'infido levantino."(Giuseppe Faso, "Lessico del razzismo democratico - Le parole che escludono", ed. DeriveApprodi)
2 Comments:
peccato che professori così ne esistano ancora ben pochi
zefi: com'è ora non saprei dire, per noi è stato l'unico caso, il resto...sì, c'erano dei professori preparati, ma tanto poi le nozioni le dimentichi, ci vuole anche altro.
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