24 novembre, 2011

Forza


1. La giornalista e l'attrice arrivano da me all'ora di pranzo. Ho preparato prosecco e tartine, il tempo per l'intervista sarà poco, poi la giornalista dovrà ripartire e lascerà l'attrice alla seduta fotografica.
Nel suo libro, di imminente uscita per una importante casa editrice, l'attrice parla del corpo - del suo, ma anche di tanti altri. Di una guerra durata quarant'anni tra il suo corpo e il resto del mondo. Una guerra per cambiarlo, disciplinarlo, restringerlo, ridurlo a forme prestabilite. Una guerra in cui alla fine ha vinto il corpo, che si è fatto accettare e amare per com'è naturalmente. E adesso comparirà sulla rivista di moda più famosa del mondo.
2. La madrina del progetto, che mi ha chiesto di fotografare il backstage del set fotografico, ha un viso bello, la pelle bianca e i capelli neri fermati da un fiore. E' impegnata nella prevenzione dei disturbi alimentari. Piccola di statura, le curve morbide, nelle interviste racconta i suoi problemi di bulimia e di non accettazione di sé, il senso di disagio risalente a quando era piccola e più rotonda delle altre bambine, la deriva autodistruttiva. Adesso è alla guida di questa onlus che per il secondo anno, con partnership importanti, realizza un calendario  coinvolgendo donne "comuni" e alte istituzioni. Una delle quali, guardandosi nel panno color crema in cui l'hanno avvolta per la foto si lamenta un po' di parere uscita da una macchina per gelati - ma alla fine sorride. Intorno, visi e corpi di tutte le età e di tutte le taglie posano, messe in posa dal fotografo, insieme alle statue della loggia dei Lanzi.
Intanto la madrina dice a qualcuno che ha intenzione di portare il progetto ancora più "in alto".

Penso alla spinta che muove queste vite, a quanto una sofferenza forte possa invertirsi in una altrettanto forte voglia di riscatto, traducendosi in energia per raggiungere un obiettivo. A chi giudica superficiali i problemi legati all'aspetto esteriore, e a quanto invece grande deve essere stata la sofferenza di queste donne per portarle alle conquiste di oggi. 
E penso a quanto si potrebbe fare nel mondo con tutta questa energia, liberata dal primario falso obiettivo-trappola  del doversi far accettare dal mondo.

12 Comments:

Blogger Fabio said...

Ti faccio una domanda da profano estremo, Lophelia.

Le pressioni sociali al conformismo sono di molti tipi. Una, quella sulla quale ti concentri, e' estetica (e come abbiamo gia' detto secondo me non e' affatto limitata al genere femminile, anche se concordo che la pressione nei confronti delle donne e' maggiore).

La domanda e': il lavoro di contrasto a queste pressioni, non andrebbe fatto a monte rispetto alla dimensione estetica?

Non si tratta di partire da una critica sociale piu' radicale, che coinvolga i modelli dominanti di successo, potere, diritti di proprieta', accettazione delle disuguaglianze sociali e della diversita'?

E' una domanda, non conosco la risposta. Mi chiedo pero' se concentrandosi sul particolare estetico non si perda un po' la visione complessiva, che poi genera il particolare.

Si parla di questo nei gruppi che frequenti? E' un discorso troppo complesso per un commento?

11:54 AM, novembre 25, 2011  
Blogger lophelia said...

ti rispondo in corsa:
stai cadendo (o rischi di cadere) nell'errore su cui rifletto nell'ultima pare del post.
Non si tratta di un "particolare estetico". Nè tantomeno di aderire ad un conformismo.
Il problema inizia a livello personale, non sociologico: come dice la madrina della onlus, il problema inizia a scuola quando per il fatto di avere una forma "diversa" ti fanno sentire una persona "diversa". Emarginata. Handicappata.
Quello che sembra, a chi guarda da fuori, un problema "estetico" nasce a livello ben più profondo - non di percezione di forme, ma di strutturazione della personalità, e del danno che può provocare sentirsi esclusi dal mondo, indegni di essere guardati.

12:08 PM, novembre 25, 2011  
Blogger lophelia said...

e quindi, aggiungo, il problema di conformismo mi pare in primis da parte di chi inizia da bambino a discriminare. Se porsi questo problema vuol dire partire da una critica sociale più radicale son d'accordo, ma temo al tempo stesso che la tendenza all'emarginazione del diverso sia un tema ultra-radicale e difficilissimo da sradicare.
L'altra faccia della questione è l'insicurezza femminile storicamente indotta, di cui si parlava di là da Arte pochi post fa.

12:15 PM, novembre 25, 2011  
Anonymous arte said...

Una delle ragioni per cui amo la scuola steineriana che frequenta mia figlia è che lì ognuno può essere se stesso, sono tutti "diversi" e vige la più totale accettazione. (Poi ci sono quelli che dicono: "Sì, ma non usano i libri di testo! Imparano più tardi a leggere e scrivere!" come se da quel tipo di scuola uscissero analfabeti)

Come dici tu Lophelia, è importante partire dall'infanzia, perché la tendenza a discriminare è radicalissima e forse biologicamente innata, e l'aspetto commerciale si innesta perfettamente su questa tendenza, e non viceversa.

9:24 PM, novembre 26, 2011  
Anonymous arte said...

Radicatissima, non radicalissima....

9:25 PM, novembre 26, 2011  
Blogger lophelia said...

grazie Arte! non ne so molto ma credo proprio mi sarebbe piaciuta la scuola steineriana.

2:05 PM, novembre 27, 2011  
Blogger Fabio said...

"Stiamo dicendo la stessa cosa" allora, che si debba andare oltre la dimensione estetica.

Se c'e' un elemento che ci distingue, come abbiamo gia' detto, e' che tu ne fai una problematica di genere (l'insicurezza femminile storicamente indotta).

Il mercato e i media propongono modelli ideali (non certo solo estetici) diversi per genere, certo. La non aderenza a tali modelli genera discriminazione, che colpisce chi non si conforma: tutti, non solo (e non di piu') le donne.

Su questo possiamo discutere all'infinito :)

4:32 PM, novembre 28, 2011  
Blogger lophelia said...

Fabio, indubbiamente questa è una di quelle discussioni che sul blog finiscono inevitabilmente in loop...parlarne dal vivo sarebbe senz'altro più proficuo per approfondire, non è detto che prima o poi non ce ne sia occasione.

8:42 AM, novembre 29, 2011  
Anonymous arte said...

@Fabio, Laura: Ognuno, io per prima, ha i suoi tormentoni! :D

4:30 PM, novembre 29, 2011  
Anonymous Rob said...

Non posso giudicare il vissuto della persona in questione, ma incolpare "la scuola" come istituzione mi sembra un giudizio di una superficialità disarmante.
La scuola è un mondo variegato, e ad esempio nelle scuole (pubbliche, normalissime) frequentate da mia figlia io personalmente non ho quasi mai trovato traccia di intolleranza o volontà di emarginazione verso alcuno.
A parte il fatto che l'autostima nasce (e talvolta muore, ahimè) nella famiglia ancor prima che a scuola, sia la famiglia che la scuola sono a loro volta immerse in un ambiente dove il problema può assumere connotati molto diversi.
Di questo ambiente sono semmai il prodotto, voglio dire, piuttosto che la causa.

Per quanto riguarda invece la domanda finale che poni - credo che tanta energia possa nascere solo dalla sofferenza.
(non lo diceva anche Scorsese ne "L'ultima tentazione"? Qualcosa come "non c'è salvezza senza martirio"?)

1:36 AM, novembre 30, 2011  
Blogger lophelia said...

arte: potremmo dar dignità ai tormentoni chiamandoli "tòpoi"? :D

rob: non c'è salvezza senza martirio, detta così è terribile ma rende l'idea.

per il resto, non capisco dove si sia incolpata "la scuola come istituzione". Ho riletto post e commenti e non trovo questa accusa, che non rientra nel mio modo di vedere le cose.
Ho detto che il problema nasce a scuola perché è il primo incontro col mondo, fuori dal bozzolo protettivo della famiglia. Ma il problema non è "l'istituzione scuola": sono, come sempre, le persone (e in questo senso concordo con te che la scuola sia un prodotto dell'ambiente): Bambini che ora si chiamerebbero bulli e adulti - penso a certi insegnanti di educazione fisica dei nostri tempi, che se eri un po' scarso nelle prestazioni ti facevano sentire handicappato - e qui c'entra anche una distorsione nel concetto di "educazione fisica" di base, che non dovrebbe essere basata sulla competitività ma educare, appunto, alla consapevolezza del corpo (spero che nel frattempo siano stati fatti progressi).
La famiglia può averti dato autostima, ma la cattiveria ferisce comunque.

10:09 AM, novembre 30, 2011  
Anonymous arte said...

Concordo con Rob: "incolpare la scuola" è di una superficialità disarmante. Se conosci qualcuno che l'ha fatto, diglielo anche da parte mia.

7:09 PM, novembre 30, 2011  

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