14 luglio, 2011

Ciò che non può dirsi

Di ciò che si scrive, proprio perché si sente il bisogno di scriverne, tendo a diffidare.
Le parole servono a colmare una distanza.
Se qualcosa ci tocca, non vuole parole nel mezzo.

26 Comments:

Anonymous ecudiélle said...

John Berger dice l'opposto ma forse è la stessa cosa? Scrivere (e disegnare) è un modo per entrare dentro e allo stesso tempo prendere le distanze dall'oggetto di cui scrive o si tratteggia.

1:41 PM, luglio 14, 2011  
Blogger lophelia said...

potrebbe essere la stessa cosa, in effetti, o almeno a me piace vederla così. E' comunque una mediazione, qualcosa che si interpone - e che in caso di totale "aderenza" all'oggetto non solo non senti necessaria, ma neanche possibile.

3:37 PM, luglio 14, 2011  
Anonymous ecudiélle said...

ci penso.
perché se accetto del tutto quello che dici, non mi spiego come alcuni autori possano scrivere di sé o di cose che a loro succedono, sulla loro pelle.
mi sfugge un passaggio credo.

4:04 PM, luglio 14, 2011  
Blogger lophelia said...

capisco il dubbio e cerco di spiegare il mio punto di vista.
Si può scrivere di sé, ma fino ad un certo punto. Il limite non è dato dall'autobiografismo (non esisterebbe la letteratura), piuttosto da un punto oltre il quale si è troppo coinvolti in una cosa per scriverne.
Si può scriverne, eventualmente, una volta che è passato del tempo e si è ricreata una distanza. Ma cose come amore e dolore mentre le vivi sono carne della tua carne e si rifiutano di farsi parola (e segno? al disegno in realtà non ho pensato, ci penso).

4:20 PM, luglio 14, 2011  
Blogger lophelia said...

(se può aiutare a capire: ho scritto questo post al posto di un altro post che si rifiutava di farsi scrivere)

4:22 PM, luglio 14, 2011  
Blogger zefirina said...

è proprio quel colmare la distanza che a me piace

10:51 AM, luglio 15, 2011  
Blogger lophelia said...

zefirina: è vero che quando la distanza è ineludibile la scrittura è salvezza.

3:17 PM, luglio 15, 2011  
Anonymous arte said...

E' soprattutto vera l'ultima cosa.

3:24 PM, luglio 16, 2011  
Blogger lophelia said...

arte: è l'altra faccia.

10:09 PM, luglio 17, 2011  
Anonymous arte said...

Sì (alla facciazza sua).

9:45 AM, luglio 18, 2011  
Anonymous arte said...

E comunque ho riletto con più attenzione e condivido tutto. "Ricreare la distanza" è essenziale per scriverne.

9:47 AM, luglio 18, 2011  
Anonymous zauberei said...

Non so capisco ma non sono d'accordo alla fine. Non solo le parole sono parole, non solo ciò che si scrive è interpretazione. E anche l'interpretazione con questa lettura sembra un oggetto freddo che si incunea nella carne. Ma l'interpretazione è a sua volta fatta di carne.
Capisco che è il punto di vista di una grafomane:)

1:13 PM, luglio 19, 2011  
Blogger lophelia said...

ecco Zaub, per come la vedo io l'interpretazione non è fatta di carne, questo è il punto. Viene dopo. E' una traduzione rispetto al sentire che quello sì, è fatto di carne e con la carne.
Poi può essere che il grafomane sente con le parole invece che con la carne, non so - potrebbe essere una spiegazione del diverso punto di vista. Interessante.

8:19 PM, luglio 19, 2011  
Anonymous arte said...

Nonò Zaub, c'è un passaggio successivo tra carne e parola, anche se a volte possono essere molto vicini. Ma più vicini sono più è difficile scriverne (inadeguato). Te lo dice una grafomane.

10:15 AM, luglio 20, 2011  
Anonymous Anonimo said...

Il dolore ti schiaccia contro il muro del tempo fino al momento in cui le circostanze fanno si che questo non debba più accadere. Scrivere in questa condizione mette a confronto il sentire, che io ricevo come una “fluttuazione di campo” che ha la sua forza e che non posso che subire, e il voler dare a tutto ciò una forma –che sia un interpretazione o una descrizione.
Se scrivo nel dolore devo dare il senso, la continuità tipica della scrittura, allora non sono le parole il problema, ma la grammatica, la sintassi, l’incontro fra la mia carne oppressa e le regole che sono ordine –per quanto si voglia definire un disordine di contenuti.
E’ in quel momento che sorgono le parole, parole remote –giacché della loro origine ci sfugge sempre qualcosa- che sono magnetismo, forza enigmatica di fronte al puro senso del dolore.

Una risorsa.

1:37 PM, luglio 20, 2011  
Anonymous Anonimo said...

Rileggo il commento e mi accorgo che un aspetto può non essere chiaro. Quando dico di scrivere parole, devo aggiungere: niente grammatica, o senso o qualcosa ad essi di ascrivibile.

1:51 PM, luglio 20, 2011  
Blogger lophelia said...

bella e pertinente la distinzione tra parole e regole.
Le parole pure possono essere risorsa? forse...ma ad esempio nell'amore non si cercano risorse, e questo è un motivo per cui per me l'amore - parafrasando Venditti - non ha parole, mai.

5:18 PM, luglio 21, 2011  
Blogger lophelia said...

comunque nello spunto che ha dato vita al post c'era un aspetto essenziale che ho senza rendermi conto tralasciato.
Certi "stati" mi appaiono incompatibili, più che con la formulazione di parole, con la loro esternazione. Proprio perché siamo in un luogo dove si esternano parole per eccellenza, è un aspetto che mi era rimasto involontariamente sottinteso.

6:31 PM, luglio 21, 2011  
Anonymous arte said...

L'amore ha parole, sempre. Come le ha il dolore. Solo che, per forza di cose, queste parole non ne esauriscono neanche lontanamente l'essenza, che va oltre la parola. Per questo esistono anche altri linguaggi: il silenzio, il gesto, il suono. Secondo me non si tratta di incompatibilità, ma di limiti. Non di tutto si può parlare, ma è lecito provarci, se questo ci aiuta.

Nell'amore non si cercano risorse perchè è esso stesso ad essere risorsa.

6:55 PM, luglio 21, 2011  
Blogger lophelia said...

leggo e scrivo in corsa quindi sarò sprecisa, io direi che gli altri linguaggi esistono prima -e non anche.
E l'amore in quanto risorsa non chiede parola anzi non la vuole proprio - in questo senso non ha parole mai, perché basta a se stesso. A meno che non ci sia, appunto, una distanza da colmare. Non è in discussione se sia "lecito" parlare di qualcosa, ma perché lo si fa o non lo si fa.

7:14 PM, luglio 21, 2011  
Anonymous arte said...

Mi pare di capire che nella tua domanda sul "perchè lo si fa" e nella tua diffidenza nei confronti della parola sia implicita una critica qualitativa della parola stessa. Cioè tu dici: in amore (ma anche, forse, nel dolore?) non solo non c'è bisogno di parole ma le parole "coprono"? "mascherano"? Sbaglio?

Io sono d'accordo sul fatto che le parole siano spesso inadeguate, ma non sul fatto che non occorrano. Come occorre il silenzio, e gli altri linguaggi che, dici tu, vengono "prima" (e qui non so se intendi in senso temporale o qualitativo). A me le parole nascono, mi nascono da sole, non le chiamo. Sono il mio modo di essere - misere, imperfette, ma non ho motivo di diffidare di loro.

Credo che forse occorra anche fare una distinzione tra le parole come scrittura e narrazione di esperienze particolarmente forti e le parole che si dicono per esprimere sentimenti. Mi pare che stiamo facendo un po' di confusione, probabilmente io per prima.

7:58 PM, luglio 21, 2011  
Blogger lophelia said...

la confusione è conseguenza della vaghezza del post, vaghezza inevitabile proprio perché il post nasceva da qualcosa che si rifiutava di essere esternato con parole.
Da qui il moto di diffidenza verso le parole, ma forse come ho già detto in particolare verso l'esternazione.
Basta con questa lenta agonia, chiamiamolo pudore e finiamola qui. Del resto riparleremo un'altra volta.

10:43 PM, luglio 23, 2011  
Blogger oblivious said...

Hi, I'm here for the first time. If I understand well you would suspect also of me? But I don't try to overcome any distance, I just try to read and understand.

11:21 AM, luglio 28, 2011  
Blogger lophelia said...

nessun sospetto Zoe, benvenuto. E buona comprensione, ammesso ci sia qualcosa da capire.

2:04 PM, luglio 28, 2011  
Blogger sukun said...

le parole per colmare le distanze? o per crearle? Chi era che diceva: "sogno un mondo in cui si muore per una virgola"... Cioran mi pare (dopo googlo).

Ed infatti la storia famosa del condannato che aspetta la grazie, e quelli rispondono:

grazia impossibile giustiziare...

Ecco un mondo in cui si muore per una virgola...

Distanze, assenze, non le colmero' di parole.

ciao!

3:32 PM, luglio 29, 2011  
Blogger lophelia said...

ciao Sukun, grazie e ora vengo a dare un occhiata da te, ché le immagini in questo momento mi nutrono di più.

1:28 PM, luglio 30, 2011  

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