L'anguilla
"Magnifico ircocervo, animale culturale che non dovrebbe esistere ma esiste (come l’ ornitorinco caro a Eco, e a Kant), la fotografia è il perturbante dei semiologi. Diciamo pure: il segno guastafeste.
Teoreticamente scivolosa come un’anguilla, la fotografia ha beffato per oltre un secolo chiunque abbia tentato di definirne l’essenza e lo specifico, ancorché armato delle buone reti fornite da Pierce (la celebre triade icona-sindice-simbolo) che però nello strano mare di Daguerre tornano a galla a volte troppo piene, a volte troppo vuote. Troppo spesso allora si ricorre agli attrezzi più esoterici del mestiere, inasprendo il linguaggio iniziatico, moltiplicando le categorie interpretative e la loro colorita nomenclatura (ho letto di un “legisegno indicale rematico” che sarebbe poi la definizione di foto d’archivio) con tassonomica pignoleria.
Ma mentre i semiologi faticano gettando le loro pesanti reti analitiche, l’anguilla fotografica, zac! è già scappata verso nuove incarnazioni (il digitale, la foto dei cellulari, la condivisione Internet, la post-fotografia) tutte ancora da avvistare e comprendere."
da Fotocrazia di Michele Smargiassi
da Fotocrazia di Michele Smargiassi
Nella foto: Photo Album di Cody Trepte (particolare) In quest'opera le pagine degli "album di famiglia" contengono, al posto delle immagini, la loro traduzione in codice binario.
10 Comments:
io ahimè non ho un buon occhio fotografico ma mi piace ed è confortante per me sapere che una foto può fermare un attimo che così diventa immortale ed eterno, come hai potuto vedere ho casa piena di questi attimi
sì mi ricordo, e in effetti quello resta per me il miglior uso delle fotografie, la cui massima ambizione - disse qualcuno - è finire in un album di famiglia, o alla parete che è più o meno la stessa cosa.
All'idea di tradurre in codice binario le foto degli album di famiglia mi sento male...
Ho un rapporto feticistico con le vecchie foto, una sorta di religione privata. Non devono essere necessariamente foto di famiglia, anzi stranamente preferisco quelle di sconosciuti.
sì infatti è un'idea orrenda, una vera perversione contemporanea: fino a che la fotografia è stata solo sali d'argento nessuno si è mai permesso di ipotizzare un album di famiglia riempito di formule chimiche...che tempi, non c'è più rispetto :)
Una sera, davanti all'ologramma di un caminetto acceso, potremo dire ai nostri nipoti:
"Vedi? Qui ci siamo 01101001 01101111 00001101 00001010, il nonno 01000110 01110010 01100001 01101110 01100011 01101111 e la zia 01000110 01110010 01100001 01101110 01100011 01100101 01110011 01100011 01100001 . Siamo in 01000110 01110010 01100001 01101110 01100011 01101001 01100001 .
Spero ci mandino a quel paese...
saremo tutti ologrammi...
Lo siamo già.
Allora, non statici, siamo olomovimento. Je préfère ;)
Scusa il ritardo, era da un po' che volevo lasciarmi qualche minuto per farti un commento sensato (e gli ultimi tempi, vita spericolata!).
Ho visto dal vivo l'inquietante "album di famiglia" fatto di zeri ed uni - una provocazione che mi ha lasciato piuttosto freddino.
Sulla, chiamiamola cosi', non-catalogabilita' semiotica della fotografia non sarei pero' tanto tassativo. A me sembra che nessuna espressione (potenzialmente artistica, o comunque di avanguardia) umana, fotografica o no, sia mai stata pienamente compresa nei suoi meccanismi comunicativi se non dopo essersi decantata un minimo. In questo processo ci si lasciano alle spalle, graziaddio, tutti quei tentativi (come, ad esempio, accadra' probabilmente di "Photo Album"), che non hanno dato luogo a nessuna forma significativa di comunicazione. Quel che resta, con ogni probabilita', sara' stato nel frattempo compreso meglio sia da chi lo fa, sia da chi lo guarda.
Rob, anche io spero che non resti traccia di questi pseudo album di ricordi, mi fanno una gran tristezza. Però non so se il tempo aiuterà la semiotica a capire, oppure non farà piuttosto scomparire anche lei...lo dico da ex-studente di semiotica, verso la quale ho delle alternanze di amore-insofferenza.
La fotografia analogica pensavano di averla ingabbiata nelle reti del "segno traccia", regolato da un rapporto di indicalità (la fotografia come segno di qualcosa che è stato davanti alla macchina fotografica in un dato momento). Sull'immagine digitale stanno a litigare perché da una parte il rapporto indicale resiste (il soggetto colpisce comunque il sensore attraverso la luce, lasciandovi traccia della sua esistenza), dall'altra si discute sulla sua maggiore predisposizione alla manipolazione, qualità che la sposterebbe verso il "segno icona" (quello della pittura per intendersi).
Sì, in definitiva mi pare probabile che nel tempo le categorie semiotiche saranno le prime a cadere - peccato, perché hanno innegabilmente un loro fascino quando riescono a non cadere nel burrone dell'autoreferenzialità.
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