27 aprile, 2009

Espropriàti

8. "Era California, era via di qua" (1979-80, quinta ginnasio)
Il titolo del capitolo ottavo del libro di Anna Negri è un flash. Smetto di leggere mentre mi rivedo al tavolo di cucina proprio in quell'anno, anch'io in quinta ginnasio, un giorno che mi ero svegliata alle sei per tradurre greco e tenevo in sottofondo bassissimo il registratore con California della Nannini.

"Ero così confusa dalla quantità e diversità di discorsi politici che si facevano a scuola che un giorno sono tornata a casa con il mal di testa e mi sono fatta uno schemino. Prima pensavo che ci fossero due gruppi contrapposti, i compagni e gli altri, ora mi accorgevo che c'erano mille gruppuscoli, con tantissime sfumature. Così me li sono scritti in un foglio. Nella mia mappa all'estrema sinistra c'erano gli anarchici, dopo venivano gli autonomi, poi Lotta Continua e Democrazia Proletaria. C'erano pure i trockijsti, che non sapevo bene dove piazzare, così come i giovani radicali. Non sapevo se mettere l'MLS tra Lc e Dp o tra Dp e quelli della Fgci, che erano a sinistra del Pci. Da lì partiva tutto lo spettro parlamentare (...). Era un'Italia in miniatura, ogni gruppo aveva un leader che secondo me incarnava un po' il suo spirito e quelli dei partiti parlamentari sembravano già vecchi, gente che di sicuro avresti visto in televisione prima o poi, perché guardandoli riuscivi a immaginarti Andreotti o Fanfani da giovani (...) Nel collettivo discutevamo tantissimo, facevamo un giornale del ginnasio, scrivevamo manifesti e intervenivamo alle assemblee in palestra (...) Noi più giovani, però, avevamo la sensazione nettissima di essere arrivati sulla scena a spettacolo finito, quando le cose belle ed eccitanti erano già passate e rimaneva solo da raccogliere i cocci."
Anche a scuola nostra c'erano gli Andreotti e Fanfani in erba, che alle assemblee proclamavano "perché noi del liceo siamo la futura classe dirigente" (e giù bordate di fischi), e anche noi facevamo delle riunioni e un giornale in cui io disegnavo le vignette, sole cose che mi davano la sensazione di essere viva a fronte della sepoltura dello studio. Ma non vorrei mitizzare troppo, ricordo bene un compagno anarchico e una compagna della Fgci entrambi pieni di soldi, che si confrontavano toppe e buchi sui jeans come se fossero trofei da ostentare. E dopo sì, fu peggio perché non ci fu più niente, e non sto qui ripetere cose già dette. Se cito questi brani è perché allora ci dicevamo sempre che la nostra generazione, contrariamente alla precedente, non avrebbe avuto nulla da raccontare. Il libro di Anna Negri racconta bene questo nulla: e soprattutto rende bene l'idea di quanto possa essere paralizzante il carico di un passato impegnativo, storico e familiare, di quanto i figli debbano liberarsi dalla zavorra dei padri per non averne la vita espropriata, e il suo caso particolare si fa paradigma simbolico anche di tanti altri.

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Le crystal ball

GiustificaEsistono ancora! Era uno dei miei giochi preferiti, soffiare nella cannuccia e veder gonfiare una bolla trasparente e colorata con una grinza da una parte. Mia madre diceva un po' schifata che quella fatte con la pasta color viola melanzana le sembravano reni.

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15 aprile, 2009

1998, ritratto di Alessandra (cm 85x100)

08 aprile, 2009

Il gioco del rovescio



(che poi Il gioco del rovescio è il titolo di un libro di Tabucchi, che porterei nello zaino nella famosa stanza d'albergo perché mi rimane sempre voglia di rileggerlo, come se ci fosse sempre qualcosa ancora da capire, che forse rimarrà da capire)

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05 aprile, 2009

Il tastierista prima del concerto

La foto è di una decina di anni fa, mi è tornata in mente parlando con Mauro di immagini dai toni scuri, con pochissima luce.
Lui non l'ho più visto, ma so che suona ancora. Spero non se ne abbia a male se per un improbabile caso si scoprirà qui dentro.

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04 aprile, 2009

Rimozioni

Carl Gustav Jung fotografato da Henri Cartier-Bresson

"Il momento decisivo e la psicologia, non meno della posizione della macchina fotografica, sono i fattori principali per ottenere un buon ritratto."
H. Cartier-Bresson in "The decisive moment", Simon e Schuster 1952


Cartier-Bresson viene citato sempre e ovunque da chiunque faccia fotografie, e anche da chi non le fa ma le critica soltanto. Tutti però citano immancabilmente "il momento decisivo", mentre "la psicologia" è stata completamente dimenticata. Un lapsus da psicoanalizzare.

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