29 marzo, 2009

Gli occhi, la bocca

Proseguendo il discorso, il gesto di liberarsi di tutte le proprietà materiali è stato estremizzato e reso opera d'arte da Michael Landy con la sua performance Break Down (2001, vista di recente anche a Firenze). Giocattoli, automobile, documenti, opere d'arte, chiavi di casa e altro, tutti i suoi settemila e passa averi sono stati catalogati, divisi per categorie e fisicamente distrutti, dentro un ex-centro commerciale.
Ma la cosa più interessante è quello che è successo dopo. Sembra che Landy dopo un po' abbia ricominciato prendendo in mano matita e carta bianca, e dopo aver disegnato un po' di erbette in stile inventario botanico sia passato a ritrarre da vicino i volti prima di parenti, poi di amici, artisti e altre persone. Lui e il soggetto, soli a pochi centimetri di distanza, nello studio completamente vuoto.
A me sembra che questo dica qualcosa sull'importanza del volto come oggetto di studio e di interesse. Ma pare che in Italia la pensino diversamente perché nelle arti contemporanee si rappresenta tutto tranne il volto (qui una National Portrait Gallery sarebbe un'eresia). C'è una sorta di rimozione, di fobia del guardare l'altro in faccia, del guardare se stessi troppo da vicino. Le tracce dell'identità si cercano ovunque (nei codici dell'abbigliamento, nell'ambiente di lavoro sia esso un ufficio o la cabina di un Tir) ma non nella faccia. Come se fosse ritenuto un compito privo di interesse, già assolto dai documenti di riconoscimento.
Per indagare l'uomo la maggior parte dei fotografi si concentra sulla dimensione di gruppo o di comunità, o magari sulla ripresa estemporanea in strada, fermandosi alla visione grandangolare.
Come se il volto non avesse niente da dire. E invece il volto è un luogo dove succedono un sacco di cose, lo sapevano bene registi come Dreyer, Bergman e Kieslowski (per non parlare di Ejsenstejn e dell'Occhio della Madre).

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Hotel Miramare

"Meglio aver roba che soldi", si usa dire in certe zone nei dintorni di Firenze dove una volta era tutta campagna. Non potrei essere meno d'accordo. L'ho pensato più che mai in questi giorni in cui l'influenza mi ha costretto a stare in casa, e di conseguenza ad affrontare quello che c'è dentro casa: la Roba. Tutto quello a cui vorresti dare un ordine ma non ci riesci, perché la Roba vive di vita propria ed è refrattaria alle classificazioni. Presto diventa una lotta aperta: se non riesco a ordinare inizio a buttare. Lì inizio a sentirmi meglio, più leggera, più libera ad ogni sacco riempito. E mi torna il vecchio sogno: abitare in albergo. Tutto quello che serve starebbe dentro uno zaino, il resto - libri, dischi, vestiti, diari, fotografie - nella memoria.
ps: l'hotel Miramare della foto non è al mare ma in una città del Nord Est. E non si chiama Miramare, che è invece il nome del viale in cui si trova.

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24 marzo, 2009

Non c'è rosa senza spine

non c'è vaglia senza firma
non c'è forma senza tarma
non c'è arma senza grillo
non c'è grullo senza strillo
non c'è foto senza posa
non c'è sposa senza foto
non c'è ruota senza moto
non c'è sposa senza trine
non c'è rosa senza spine

da "Non c'è...non c'è...non c'è...", Bruno Munari, 1946

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Il dio selvaggio e altri angeli caduti

Sylvia Plath, poetessa e scrittrice americana, morì suicida nel febbraio 1963. La sua opera e la sua biografia da allora sono state studiate, analizzate, eviscerate. Nessuno ha resistito ad un intreccio così potente di Arte, Amore, Follia e Morte. E nessuno si è preoccupato dei due piccolissimi bambini sopravvissuti. Più volte citati nel rievocare la scena del suicidio, nessuno si è chiesto come sarebbero sopravvissuti dopo, al resto.
La figlia Frieda vive in Australia, è pittrice e poetessa e ha scritto versi feroci su tutti quelli che si sono appropriati della vita di sua madre. L'altro figlio viveva in Alaska, e si è tolto la vita nei giorni scorsi.

Nella raccolta di versi che il marito Ted Hughes ha dedicato a Sylvia c'è una poesia dedicata ai figli, intitolata "The Dogs Are Eating Your Mother".
In un'intervista più recente su Time, la figlia trova una spiegazione a tutto questo: "I think part of it is that people in a way almost analyze themselves through their subject. This is just my guess."
Non giustifica. Spiega soltanto.

23 marzo, 2009

Fallen Angel

Un titolo scontato per questa foto, e uno dei pezzi preferiti della mia adolescenza malvissuta.

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17 marzo, 2009

Mangiare cantare prendere scrivere vedere partire fuggire

Non me li aspettavo tanto entusiasti di farsi fotografare, quasi tutti. Soprattutto le donne , tra le prime K. dalla Georgia, credo che abbia sui trent'anni. In un ottimo italiano (la classe è di livello avanzato) mi parla dei lavori che fa per vivere: la mattina fa compagnia ad un ragazzo down, da mezzogiorno alle tre guarda due bambine, il pomeriggio accudisce un'anziana, poi nel tempo che le rimane stira. Ha i tratti del volto spigolosi, l'arco delle sopracciglia duro e marcato, ma c'è dolcezza negli occhi scuri e una malinconia per nulla arrendevole. Nella foto migliore sorride a labbra chiuse, gli angoli della bocca impercettibilmente curvati all'ingiù - ma il sorriso è vero, lo sguardo acuto, sereno e disincantato.
S. dal Senegal ha un abito bellissimo, casacca e pantaloni di tessuto cangiante in varie tonalità di verde giallo e arancio. E' ancora "irregolare" per le leggi italiane. Fa
un sacco di domande sulle foto, poi accetta di farsi fotografare ma solo insieme agli altri, nella foto di gruppo. Non è di buon umore, stasera nel venire qui in treno gli hanno rubato la borsa, non c'erano soldi ma tutti i libri di scuola. Provo ad immaginare come la scriverebbe un cronista: rubano borsa a clandestino, sospettati due rumeni.

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16 marzo, 2009

L'onda

Se non lo avete ancora visto vi consiglio L'onda di Dennis Gansel. Si sobbalza sulla poltrona quando all'inizio il prof e i suoi studenti elencano i fattori sociali che favoriscono la nascita di una dittatura, e alla fine si esce dal cinema con un brividino lungo la schiena. Varrebbe la pena solo per questo, ma tra l'altro è anche un ottimo film.

11 marzo, 2009

A proposito di tutte queste signore




Prosegue la mostra virtuale. E, a proposito di donne, oggi alla radio ho sentito un programma in cui si dava molta importanza alla questione del genere nel linguaggio. Tipo perché esiste il ministro e non la ministra, etc. Sbaglierò sicuramente, ma di tutte le cose che possono danneggiare le donne a me questa sembra la minore.

07 marzo, 2009

Altre donne


05 marzo, 2009

In direzione ostinata e contraria

Quando ero piccola, in casa giravano i primissimi numeri di "Zoom, la rivista dell'immagine", che mia mamma comprava come fonte di ispirazione per la sua pittura. In quegli anni usava pensare, e Zoom era una rivista critica, intelligente e militante. Nel numero Uno (giugno 1972, lire millecinquecento) c'era un articolo sul Sexismo, ovvero quella indiretta e quotidiana forma di razzismo che consiste nello sfruttamento dell'immagine della donna a fini pubblicitari. Una didascalia titolava: "Restituire le donne alla loro immagine, e la loro immagine alle donne".
Una delle tante utopie di allora, direbbe qualcuno, visto che le cose sono andate alla rovescia: oggi l'unica immagine femminile ammessa è quella ideale. Il clone perfetto riprodotto all'infinito.
Nel mio piccolissimo, per una volta, in una serie di fotografie ho immaginato di restituire alle donne quello che è stato progressivamente tolto: la grana della pelle, le tracce del vissuto, l'individualità.
Questo nella mostra "Un'Altra Donna", dal 5 marzo al 7 maggio al cinema Mignon di Montelupo Fiorentino, promossa dalla Commissione per le Pari Opportunità del Comune di Montelupo. Stasera (giovedì 5) alle 21 l'inaugurazione, insieme alla proiezione del film "Rachel sta per sposarsi".

01 marzo, 2009

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